venerdì 18 luglio 2008

SIAMO TUTTI CLANDESTINI


La maggioranza uscita vincente dalle elezioni politiche anticipate, una volta giunta al governo del paese, ha concentrato in modo massiccio tutta la sua attenzione sul problema della sicurezza, dopo aver imposto l’intera campagna elettorale su questo tema, mescolando in modo ideologico in un unico calderone più aspetti. La strategia adottata ha previsto semplicemente l’equivalenza immigrazione uguale crimine e delinquenza, attribuendo la responsabilità di reati e fatti di cronaca nera soltanto alla presenza di differenti comunità di stranieri, protagonisti dei fenomeni di immigratori che negli ultimi vent’anni e forse più (e dunque non dal 2006 al 2008!) hanno riguardato in Europa anche la nostra nazione. Tutto questo come se nei decenni precedenti non si fossero mai verificate situazioni di illegalità e violenza. A causa della nostra scarsa memoria, all’improvviso sono quasi caduti nel dimenticatoio la mafia, la camorra, la criminalità organizzata, il brigatismo, che hanno a più riprese insanguinato le nostre strade, per non parlare di azioni nefande, come stupri, violenze, truffe, che molto spesso vengono compiute da individui considerati “insospettabili” (ad esempio, vedesi gli esiti delle indagini su certe cliniche private).
Si è scelto di limitare gran parte delle preoccupazioni in materia di sicurezza, comunque giustificate dalle gravi situazioni di differente naturale criminale che accadono, solo a quelle in cui protagonisti risultano essere persone aventi cittadinanza non italiana, stilando così una classifica delle nazionalità da cui maggiormente sarebbe opportuno guardarsi. Ciclicamente assistiamo, da parte soprattutto degli organi di informazione, ad una morbosa attenzione nel riferire fatti relativi a questo o quell’altro gruppo etnico o nazionale: oggi sono i ROM, della cui presenza sembra essersi accorti solo negli ultimi giorni, nonostante una loro presenza sul nostro territorio pluridecennale, confusi erroneamente con i rumeni, con cui molte volte poco hanno a che vedere (molti ROM, così come i SINTI, sono cittadini italiani), ma prima erano gli albanesi ad essere indicati come criminali incalliti, fino a quando non hanno preso il loro posto gli arabi, indicando con questo termine anche pakistani o iraniani, dai quali l’arabo molte volte non è neanche conosciuto, e non parliamo dei cinesi, che sembrano non morire mai.
Ma non sia mai che questo discorso sia frutto del nostro razzismo: in molti si preoccupano di precisare, tuttavia, che chi commette crimini non siano i regolari, ma coloro che si trovano nel nostro paese come clandestini, che senza il permesso di soggiorno non possono trovare un lavoro e dunque per sopravvivere sono costretti a delinquere. Peccato che a ben guardare la realtà non sia proprio così e molti clandestini operino nei cantieri edili, nelle imprese di pulizie o semplicemente in tante case di cittadini italiani, che li sfruttano e li pagano in nero senza denunciare la loro presenza, con grave danno per le casse del nostro Stato. In più, si può ben sorridere nell’ascoltare coloro che propongono di inserire nel nostro codice penale il reato di clandestinità, dare allo stesso tempo ragione a quelli che sostenevano e sostengono ancora interventi necessari per favorire lo svolgimento, in modo conforme alla legge, di determinate mansioni eseguite da stranieri, come badanti, colf o infermieri, lavori pesanti e spesso mal retribuiti, che vengono tante volte anche compiuti da chi non è regolare, non avendo mai ricevuto il permesso di soggiorno, pur possedendo i requisiti o essere nelle condizioni di riceverlo. Questo purtroppo può anche favorire situazioni di inaudita crudeltà, come l’assassinio del giovane rumeno a Verona da parte dei suoi datori di lavoro italiani per intascarsi la sua milionaria assicurazione.
Si continua a ripetere che gli stranieri servono al nostro paese: sicuramente, essi svolgono quei mestieri che vengono accuratamente evitati dagli italiani, soprattutto la gran parte delle nuove generazioni, che, non mostrando molta voglia nello studio, figuriamoci se poi vogliono faticare nell’assistere un anziano o un malato, oppure in una tetra fonderia; con il lavoro “straniero” si contribuisce all’elargizione delle pensioni dei nostri cari anziani e lo sanno bene certi nostri imprenditori, che preferiscono avvalersi del loro contributo rispetto a quello di tanti nostri connazionali, per motivi più o meni gradevoli, compreso il fatto che li possono pagare di meno, e già hanno manifestato una certa sofferenza di fronte al reato di clandestinità che si vuole introdurre. Tuttavia, la presenza degli stranieri, da qualunque nazione essi provengano, ci torna utile quando vogliamo esorcizzare le nostre paure, le nostre ansie, le nostre frustrazioni: sono i responsabili ideali di quanto negativo ci accade o ci circonda, perché se non troviamo lavoro, è colpa loro; se c’è la droga, perché essi la spacciano, anche se sono gli italiani i loro clienti migliori; se avviene un efferato omicidio che sconvolge le nostre tranquille cittadine, speriamo proprio che l’abbia compiuto uno di loro, affinché le nostre coscienze non possano essere turbate o vivere nell’angoscia più nera. Siamo sempre pronti a puntare il dito o alzare la voce se uno straniero compie un crimine contro un italiano, ma poi, se avviene il contrario, si preferisce stare zitti, come se ci si vergognasse ad affermare che un reato deve sempre essere punito, indipendentemente dalla nazionalità del suo autore.
Ci dobbiamo forse rendere conto che il vero problema è costituito dalla volontà, alimentata in modo strumentale da parte di taluni, di offrire una visione dell’immigrazione ormai quasi del tutto non più corrispondente al vero: in Italia tanti stranieri non fanno solo le badanti o i vu cumprà, o, ancor peggio, i criminali sanguinari; al contrario, tanti sono imprenditori, che danno lavoro anche agli italiani, oppure negozianti con attività diverse tra loro e molti, i figli di coloro che sono arrivati nel nostro paese, studiano con impegno nelle nostre scuole e nelle nostre università, riportando molto spesso risultati più alti di tanti nostri ragazzi, che pensano invece, in misura maggiore, a tutti i modi possibili per divertirsi ed evitare di fare fatica.