venerdì 18 luglio 2008

LE ELEZIONI DEL 13/4/2008: LA VITTORIA DELLA DESTRA, LA SCONFITTA DEL CENTROSINISTRA, L’OPPOSIZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO

Per Il Partito Democratico riflettere sui risultati elettorali del 13 aprile, e sul ruolo di partito di opposizione è un impegno politico ineludibile.
La Destra ha vinto le elezioni perché ha capito che il Paese era insicuro e impaurito e ha puntato sulla sicurezza (microcriminalità, immigrati, rom) e sulle radici (siamo italiani, cristiani, europei); ha cavalcato l’antistatalismo sfruttando l’insofferenza contro la burocrazia e contro le tasse, ha fatto proprio l’egoismo territoriale proponendo un federalismo fiscale che premia le ragioni forti del Nord.
Ha colto lo spaesamento prodotto dalla globalizzazione formulando una strategia per difendersi da essa (Europa come fortezza che sappia proteggerci dal flusso di merci, persone, culture diverse e che trova nella radici giudaico-cristiane il proprio punto di riferimento -_Tremonti).
Insomma una destra meno liberale e meno liberista e più leghizzata. In questa vittoria c’è, comunque, un punto debole: se l’utilizzo della paura ha permesso alla Destra di vincere le elezioni, per governare serve la fiducia e la capacità di risolvere davvero i problemi.
Il Partito Democratico ha perso le elezioni in modo onorevole, ma le ha perse,
In sintesi, il Partito Democratico ha perso perché ha puntato al cambiamento, mentre la società voleva essere protetta e rassicurata; ha pagato la continua litigiosità dell’Unione; ha sottovalutato sia il malessere sociale determinato da PAURE fondate e in parte indotte che minacciano o minaccerebbero il corpo e gli averi, la propria identità e l’affidabilità dell’ordine sociale, sia la delusione di vari strati sociali in merito a prezzi e salari.
Tuttavia ci sono ragioni più profonde che stanno alla radiche di questa sconfitta che viene da lontano e non sarà di breve durata, sconfitta che nella storia politica del Paese chiude un ciclo e ne apre uno nuovo. Questo discorso vale anche per l’Europa: in un anno su dieci consultazioni elettorali soltanto una, quella di Spagna, ha dato la maggioranza alla sinistra. La Destra domina il continente europeo mentre la Sinistra è in difficoltà.
La Sinistra è in difficoltà perché oggi sono in crisi gli stessi valori di riferimento del campo riformista e progressista: dal futuro come promessa si è passati al futuro come minaccia e questo ha messo in discussione l’idea stessa del progresso; dell’eguaglianza come progetto si è passati al manifestarsi di disuguaglianze sempre più accentuate all’interno degli stessi Paesi sviluppati; dal conflitto capitale-lavoro si è passati al conflitto flussi (merci,…….., persone, infrastrutture) – luoghi (vedi TAV, basi Nato di Vicenza, il campo Rom di Opera); dalle vecchie e sfibrate appartenenze (classi sociali, partito, sindacato) si è passati all’identità elementare del territorio di appartenenza (vedi operai che votano Lega), dalla fiducia nella ragione si è passati alla paura e alle spinte irrazionali tese alla ricerca di un capro espiatorio su cui scaricare tutte le tensioni; della valorizzazione della democrazia si è passati alla sua crisi sia perché il sistema democratico è stato spogliato di parte delle decisioni economiche che dall’area democratica sono passate a quella capitalistica sia perché la società è percorsa da spinte populiste e autoritarie.
Inoltre si è fatta spazio l’idea che governare la globalizzazione (come propone il Partito Democratico) sia difficile se non impossibile, meglio difendersi da essa (proposta della Destra leghizzata).
Tuttavia, la storia è li a ricordarci che ogni sfida mancata presenta poi il suo conto.
Basti pensare alle tre occasioni mancate nella nostra storia a partire dall’età moderna e alle gravi conseguenze che hanno determinato: nel XV-XVI secolo l’Italia perse la sfida della costruzione dello stato unitario a causa del particolarismo politico delle sue classi dirigenti con il risultato che iniziò la dominazione straniera durata fino al 1860; nel XIX secolo l’Italia perse la sfida di una rivoluzione industriale in grado di modernizzare l’intero Paese a causa di un compromesso conservatori tra industriali del Nord e agrari del Sud e questo comporterà sia l’accentuarsi del divario tra Nord e Sud sia l’esplodere del fenomeno migratorio; nel XX secolo, l’Italia perde la sfida dell’integrazione democratica delle masse nello stato a causa della debolezza della proposta politica dei liberali giolittiani e delle stesse divisioni all’interno della sinistra e la conseguenza per il fascismo per 21 anni.
Oggi, la sfida è la globalizzazione: governarla gestendo il futuro o difendersi da essa gestendo il nostro declino?
Al campo riformista e progressista spetta un compito difficile: reinventarsi il proprio profilo identitario e programmatico fornendo risposte credibili e in grado di aggregare vasti consensi sociali.
Veniamo, ora, al problema di quale opposizione debba fare il Partito Democratico.
Come è noto il P.D. ha rinunciato all’antiberlusconismo, puntanto su un bipolarismo maturo in cui le coalizioni si formano per governare e in cui i due poli non si delegittimano a vicenda.
Se questa prospettiva politica dovesse consolidarsi, sarebbe la fine di quell’Italia divisa che ha caratterizzato la nostra storia dal 1800 in poi; nell’Italia liberale (del 1861) ci furono varie opposizioni(cattolica intransigente, repubblicana mazziniana, anarchica, plebeo reazionaria) che non riconoscevano legittimità allo Stato unitario monarchico appena sorto; nell’Italia fascista e durante la Resistenza ci fu la irriducibile e giusta contrapposizione tra fascisti e antifascisti; nell’Italia della prima Repubblica ci fu il fattore K (esclusione del Partito Comunista dal governo nazionale per i suoi legami con l’URSS) pur all’interno di una comune cornice costituzionale; nell’Italia della seconda Repubblica c’è stata la contrapposizione tra filoberlusconiani e antiberlusconiani.
Quindi, si alla scelta del Partito Democratico di praticare il dialogo sulle riforme istituzionali ma No al consociativismo, mantenendo una memoria vigile su quello che Berlusconi e la Destra hanno fatto e significato nel recente passato.
Il P.D. deve, perciò, praticare una forte opposizione sui contenuti e per far questo deve avere la forza di far emergere le proprie priorità e proposte, sia in Parlamento sia nella società.
Il P.D. deve anche rafforzare il suo profilo identitario e il suo radicamento territoriale e sociale, portando a compimento la costruzione del Partito e le sue scelte strategiche (congresso).
Parlare di opposizione vuol dire anche parlare di alleanze.
Il P.D. deve confermare la sua vocazione maggioritaria, ma deve ricercare su temi specifici convergenze con le altre forze di opposizione.
In particolare, si pone il problema politico di quale rapporto instaurare con la sinistra radicale, alla luce sia del dibattito che la sconfitta sta innescando in questa area (puntare tutto sul sociale e/o procedere ad una ristrutturazione politica) sia delle alleanze locali in vista delle prossime elezioni amministrative.
Si pone, infine, un problema cruciale: come rapportarsi con quelle parti del Paese (Nord-Est, sud, Isole) in cui il P.D. è minoritario.